Chiesa di san giovanni evangelista e cripta di san marziano

Testo tratto da:
SIRACUSA IN ETA’ BIZANTINA
di Santi Luigi Agnello

Il complesso monumentale di S. Giovanni Evangelista, costituito da una grandiosa e singolare basilica a tre navate e da una cripta parzialmente scavata nella roccia, che prende il nome da S. Marciano, è del massimo interesse sia dal punto di vista architettonico – essendo la chiesa il più grande edificio di culto siciliano di epoca premusulmana -, sia da quello storico-religioso, per le memorie connesse con le origini del cristianesimo a Siracusa.
La cripta, con la chiesa sovrastante, è ubicata in un sito, che ricevette una prima sistemazione in età greca classica con l’apertura di una cava di pietra, all’interno della quale, dopo il suo abbandono, si installò in età tardoellenistica un’officina di vasai con annessa area cultuale: è un tipo di impianto che nella stessa Siracusa trova puntuale riscontro con le officine dei figuli da me localizzate nell’ex Vigna Cassia e sotto la piazza s. Lucia. In una fase ancora successiva (età tardoimperiale) il sito ebbe destinazione cimiteriale ed accolse piccoli ipogei, i cui resti sono ancora in parte visibili. Quest’area cimiteriale fu utilizzata almeno sino al 423, come documenta un’iscrizione consolare; le testimonianze epigrafiche e pittoriche (purtroppo l’affresco delle due Alessandre è andato distrutto) dicono inoltre che il sepolcreto era cristiano. Esso venne interamente manomesso nel VI sec. per far posto alla cripta, realizzata in parte con un approfondimento del taglio in roccia ed in parte con strutture murarie colmate all’esterno da terra di scarico trattenuta da muri di contenimento e rinforzo. In scala minore, l’impresa ricorda quella realizzata a Roma da Costantino per erigere la primitiva chiesa di s. Pietro.

La cripta ricevette un assetto che arieggia quello delle cellae trichorae, ma con l’aggiunta di recessi laterali, in uno dei quali si trova il deposito di reliquie con fenestella confessionis, in forma di sarcofago, che la tradizione attribuisce ah antiquo a s. Marciano; si eresse poi un corpo centrale attestato dalle basi di quattro colonne disposte in quadrato, le quali servivano di sostegno alla copertura e racchiudevano l’altare. In un momento successivo, che è quello della ricostruzione del XII sec., crollato o demolito il corpo centrale, lo spazio interno venne articolato da grandi pilastri in muratura, la quale fodera pure le pareti perimetrali. Residuano pochi resti dei due pavimenti. Ometto di far menzione di tutte le aggiunte e modifiche operate tra il 1428 ed il nostro secolo.
La questione relativa al sepolcro del Santo dette origine 30 anni addietro ad una vivace polemica tra due studiosi probi, ma con modeste cognizioni archeologiche. Oggi, dopo le ricerche cui fui sollecitato proprio da quella polemica, è agevole osservare che i costruttori della cripta e della basilica non avrebbero manomesso un sepolcreto, né avrebbero affrontato le difficoltà tecniche opposte dalla conformazione del sito se non per una grave ragione, quale poteva essere quella della sistemazione definitiva, e rispondente a mutate esigenze di culto, della tomba del protovescovo della città.
Devo aggiungere che la soluzione del problema della chiesa siracusana non va ricercata in Occidente (dove le tombe o le reliquie dei martiri e dei confessori sono collocate sotto l’altare, quasi sigillate), ma in quell’Oriente dal quale la Sicilia era attratta da oltre un secolo; soprattutto in Siria, dove “il culto dei martiri si mantenne distinto dalla liturgia eucaristica e seguì un diverso sviluppo. Partendo dal principio che il reliquiario deve poter essere raggiunto dai fedeli, non si usarono […] cassette da collocare sotto l’altare, ma […] sarcofagi speciali muniti di canalini di scolo, dal quale il popolo raccoglieva l’olio santificato dal contatto […]. I sarcofagi venivano esposti alla venerazione in uno degli ambienti dei pastofori, di regola quello sud, trasformato e reso adatto alla nuova funzione” (P. Testini). E proprio a sud è il recesso col sarcofago nella cripta siracusana.

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Redazione