Autore: Redazione

  • FRANGIAMORE SALVATORE

    FRANGIAMORE SALVATORE

    Mussomeli,25 Marzo 1853 – Roma,Febbraio 1915

    Grazie a un sussidio del Comune della sua città natale, nel 1868 poté iscriversi all’Istituto di Belle Arti di Palermo e, nel 1869, a Roma presso l’Istituto Superiore di Belle arti.
    Espose il suo primo lavoro presso la bottega d’arte Datri., un grande Ritratto di Re Umberto, opera oggi collocata nella sala del Consiglio Provinciale di Caltanissetta.
    Nell’ambiente artistico romano conobbe certamente le opere di Francesco Podesti, di cui subì l’influenza, ma fu anche sensibile alle novità di Nino Costa e dei macchiaioli.
    Partecipò a numerose esposizioni, tra le quali vanno ricordate la mostra della Società degli amatori e Cultori nel 1877, L’Innominato, l’Esposizione Internazionale di Roma del 1883, Un Temporale d’estate, e l’Esposizione di Belle arti di Messina del 1900.
    Apprezzato soprattutto come ritrattista (Ritratto della Baronessa Costanza Moncada,1977, Caltanissetta,coll. Privata; Ritratto di D.GiuseppeGiudici, 1892, Mussameli oMunicipio), si espresse con una tavolozza in cui si fondono sensibilità cromatica e vivacità di tocco.
    Pur essendosi trasferito giovanissimo a Roma, mantenne sempre vivi i contatti con la committenza siciliana sia con dipinti di soggetto religioso, sia con soggetti letterari e storici. Della sua produzione paesaggistica va segnalata una Veduta del castello di Manfredonia, oggi a mussumeli presso una coll. Privata.
    Altre sue opere da ricordare sono:
    Temporale d’estate, Il padre e la modella., Lettura amena; Isabella Orsini; Monaci in coro; Una partita a scacchi; L’onomastico dello zio cardinale; Il moschettiere, di cui alcune si trovano all’estero. parecchi Tra i ritratti si ricordano quelli del chirurgo Senatore Durante; del Barone di San Giuseppe; dei ministri Michele Amari e Gallo ; del Senatore Inghileri e del cardinale Guarino. Nell’aula magna del Consiglio Provinciale di Caltanissetta è collocato anche Cicerone ad Enna. Altri suoi lavori sono conservati a Mussumeli e in collezioni private.

     

    Dal sito www.undo.net si riporta parzialmente :

    ” Frangiamore muove i primi passi all’arte nella sua terra natia che ben presto,nel 1869, lascerà su consiglio e orientamento del suo protettore e mecenate culturale, Don Giuseppe Giudici.
    A Palermo frequenta il Regio Istituto di Belle Arti dove apprende le prime nozioni della grammatica del disegno e del colore ; dopo un anno di studio preparatorio come da normativa allora vigente si reca a Roma dove continua lo studio accademico dell’anatomia applicata al corpo umano dal Vero.
    Nel periodo romano produce una infinità di opere di genere,ma riceve anche molte commissioni come la decorazione della Villa Durante del noto Chirurgo e Senatore Francesco Durante a Roma (oggi sede dell’IPPI). Moltissime le opere da cavalletto con taglio romantico che facilmente riusciva a vendere ai viaggiatori stranieri di passaggio, cosa oggi verificabile attraverso le vendite d’asta presenti sul mercato internazionale dove il Frangiamore si colloca a buon diritto con buone quotazioni.
    Altro campo d’azione era la ritrattistica di cui era un abile interprete sia nel somiglio,che negli incarnati, ricercando i dettagli dei panneggi e degli oggetti che riusciva a cogliere con una perizia calligrafica dal forte accento fiammingo. A volte questa meticolosa attenzione della ricercatezza dei particolari distoglie
    l’osservatore dal cogliere l’aspetto psicologico del personaggio ritratto ”
    .
    Negli ultimi anni di vita diresse l’Istituto BB.AA. di Campobasso .

    Degna di menzione la Mostra Retospettiva (Istituto Bambino Gesù, Collegio di
    Maria, Mussomeli, dal 30 Agosto al 7 Settembre 2003) .

  • RAGUSA VINCENZO

    RAGUSA VINCENZO

    Ragusa Vincenzo (Palermo,1841-1927)

    Scultore e pittore. Ottenne nel 1876 un posto di insegnante all’Accademia di Belle Arti di Tokyo e rimase in Giappone per sei anni. Ivi lavorò e si sposò una giapponese. Nel 1884 partecipò alla Promotrice di Torino.

  • PATRICOLO GIOVANNI

    PATRICOLO GIOVANNI

    Palermo,16 Agosto 1789 – 7 Marzo 1861

    Palermitano, operò nella sua città, dedicandosi esclusivamente all’arte sacra. Nel 1844 dipinse a tempera i Sette Sacramenti e L’Apparizione di Gesù Cristo Risorto, nella chiesa di Sant’Ippolito. Rimangono, inoltre di lui: una Madonna, nella chiesa di Santa Oliva; La vergine del Rosario, nella chiesa di Santa Caterina; San Domenico che scaccia l’eresia, nella stessa chiesa. Il Patricolo dipinse anche il centro della navata della chiesa del Carmine.

    Sue opere sono visibili presso Chiesa di San Francesco di Paola,Chiesa
    dell’Assunta,Palazzo Reale, Chiesa del Salvatore(PA),Chiesa di S. Francesco (Partinico), Chiesa del Purgatorio (Carini) .

    L’Abate Patricolo era appartenente ad una famiglia di artisti che lavorò assiduamente per i Borbone.

    Dal sito www.comune.palermo.it si riporta in parte :

    “Avendo manifestato fin da adolescente una propensione per il disegno e la pittura,il padre,Capo mastro Giuseppe Patrico, lo raccomandò al pittore G. Velasco .Prese i voti come sacerdote diocesano a soli 24 anni nel 1813 .Dopo l’ordinazione iniziò a frequentare gli studi di V. Riolo e di G. Patania .
    G. Velasco gli diede più volte l’incarico della direzione dell’Accademia del Nudo,presso la quale tenneanche un insegnamento nel 1821 ” .

  • LENTINI ROCCO

    LENTINI ROCCO

     

    Palermo 27 Febbraio 1858 – VE,20 Novembre 1943

    Personaggio sicuramente non secondario nel vivace ambiente culturale ed artistico di Palermo a cavallo tra Ottocento e Novecento. Figlio di Giovanni, scenografo, suo primo maestro. Nel 1877 vinse una borsa di studio del Comune di Palermo che gli permise di continuare gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Fu anche a Parigi dove espose al Salon del 1879 e dove potè approfondire la sua formazione Nel 1879 partecipò alla Promotrice di Torino. Rientrato in Italia vinse, nel 1884, il concorso per la cattedra di Pittura dell’Accademia di Brera e si fermò per qualche anno a Milano. Tornato a Palermo iniziò la sua lunga carriera di insegnante, che si concretizzò anche in due pubblicazioni: Elementi di Ornato (1892) ed Elementi di Paesaggio. Frutto importante dei suoi studi sull’arte in Sicilia fu l’attiva collaborazione alla realizzazione, nel 1911, del volume di Ernesto Basile Le sculture e gli stucchi di Giacomo Serpotta. In quegli anni partecipò alle imprese decorative più importanti realizzate a Palermo. Organizzò anche la I Mostra Siciliana di Pittura, Scultura, Bianco e nero, tenuta a Villa Gallidoro, presentandovi pure tredici dipinti. Partecipò attivamente alla vita culturale della città anche come direttore e proprietario della rivista mensile “La Sicilia Artistica e Archeologica”, continuando tuttavia a mantenere rapporti costanti con altri centri artistici. Furono frequenti i suoi viaggi in Germania, nel nord Italia e, soprattutto, a Venezia dove partecipò a due Biennali, del 905 e del 1922, e dove rimase fino alla morte.

    Dipinse molti paesi e marine rappresentanti luoghi della Sicilia. Tra le molte opere ricordiamo: Lo sbarco di Garibaldi a Marsala, notevole per la diligente ricostruzione dello storico avvenimento, L’Alabardiere, firmato e datato 1879, Porto oggi conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Palermo.

    Sue le Decorazioni del Teatro Massimo e del Politeama Garibaldi (PA) .

  • VILLAREALE  VALERIO

    VILLAREALE VALERIO

    Fu scultore . Attivo in Sicilia nel XIX secolo.

    Villareale Valerio,scultore(PA,1773 – 14 Settembre 1854 ).
    Dal sito www.comune.palermo.it si riporta in parte :

    “Allievo del Velasco,giovanisimo risente l’ammirazione dell’Arch.francese Dufourny.
    Grazie all’intercessione del vicerè Caramanico,si reca per un triennio a Napoli.Fra le sue opere ricordiamo : -il monumento a Giuseppina Turrisi Colonna nella Chiesa di S.Domenico e quello di Stefania Brancifortiin S. Francesco di Paola ” .

    ed inoltre dal sito www.cattedrale.pa.it si riporta :

    ” Scultore di origine spagnola,nato a Palermo nel 1773. Fin da bambino si dedicò alla scultura e statuine di presepe da lui realizzate in legno gli attirarono l’attenzione dell’architetto Fourny e del Marabitti. Come premio per aver scolpito il ritratto di Don Leopoldo di Borbone fu mandato a Roma, che raggiunse nel 1779 dopo essere stato trattenuto per tre anni a Napoli da Re Ferdinando. A Romasi formò alla scuola di Antonio Canova. Nel 1802, dopo essersi sposato, fu richiamato a Napoli dove lavorò alla corte di Giuseppe Napoleone e di Giacchino Murat, che ritrasse in una scultura insieme alla moglie. Di quel periodo sono anche i bassorilievi con personaggi omerici nella Regia di Caserta.
    Dopo la restaurazione dei Borboni rientrò a Palermo e fu nominato
    sopraintendente alle Belle Arti ed insegnante di scultura alla Scuola di Belle Arti presso la Regia Università.
    E’ morto a Palermo di colera il 14 settembre 1854 e fu sepolto nella Chiesa di S. Domenico a Palermo.
    “Il Villareale fu effettivamente un maestro dell’arte sua celebrato e ricercatissimo dai contemporanei. Seguì i dettami estetici della sua epoca ed è evidente nell’opera sua il potente influsso dell’arte di Antonio Canova sebbene non se ne possa dire un imitatore”. (Sgadari Di Lo Monaco, Pittori e Scultori Siciliani – Libreria AGATE Palermo, 1940) ” –
    Oltre ai bassorilievi della storia di S. Rosalia in Cattedrale, di Lui ricordiamo:
    -Bassorilievo della Sicilia Ira Cerere e Minerva al Municipio di Palermo,
    -Ritratto di Giovanni Meli al Palazzo Trabia,
    -Baccante e Ariannna alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo.
    -Ricordo a Nina Siciliana, la tomba del Beato Giuliano ed il busto di Pietro Novelli nella chiesa di San Domenico a Palermo.
    -L’opera incompiuta, a bassorilievo, dell’Africa per la base del Monumento a Filippo IV, nella Piazza del Palazzo Reale di Palermo. “

  • RIZZO PIPPO

    RIZZO PIPPO

    Corleone (PA) 1897-Palermo 1964

    Diplomatosi all’accademia di Salerno aderì al Futurismo. In seguito si orientò verso un corposo realismo sui soggetti popolareschi siciliani. I suoi lavori sono apparsi alle Biennali Veneziane: nel 1926, Lampi e Futurismo e Fascismo; nel 1927 è presente alla Promotrice di Torino; nel 1928, Foot-ball; nel 1930, Anno VIII; Lavoro dei campi; La battitura del grano; Verso sera; Campagna; Donna con chitarra; Figura alla finestra; Autoritratto. Nel 1927 Fututrismo e Fascismo fu riesposto alla Quadriennale torinese. Insegnò all’Accademia di Palermo titolare di una pittura ed inoltre fu dell’Accademia direttore. Diresse la scuola libera di Nudo dell’Accademia di Roma.

    Dal sito www.corleoneworld.it riportiamo :

    Pippo Rizzo è nato a Corleone il 6 gennaio 1897, da famiglia di artisti: la madre, infatti, era cugina di Domenico Trentacoste,scultore già famoso.
    Rizzo studiò all’istituto di Belle Arti di Palermo ed espose per la prima
    volta le sue opere pittoriche nel 1916 al Kursal Biondo durante una Mostra Pro Potrici Ars.
    Cinque anni dopo, durante un soggiorno a Roma fu affascinato dal movimento Futurista e tornato a Corleone fondò il circolo culturale “Rinnovamento”.
    Dopo varie mostre a Palermo dove espose alcuni manufatti e arredi futuristi ebbe la sua grande occasione quando il suo quadro “i Lampi” fu esposto alla Biennale di Venezia nel 1926.
    Tra i suoi allievi ricordiamo soprattutto Renato Guttuso che debuttò in una Mostra organizzata a Palermo nell’aprile dei 1929.
    Rizzo muore il 4 marzo dei 1964 dopo aver diretto l’accademia di Belle Arti di Palermo prima e di Roma poi. La città di Corleone nel 1992 gli ha dedicato il Museo Civico.

    Dal sito www.icvasicorleone.it riportiamo parzialmente :

    “Alle ore 02.15 del 6 Gennaio 1897 a Corleone nasce Pippo Rizzo,da Don Nino,originario di Capaci,che a Corleone aveva aperto il ristorante “Stella d’Italia” in Piazza Nascè ,e da Rosa Trentacoste, originariadi Marineo e cugina dello scultore Domenico Trentacoste(Palermo,20/9/1859 – Roma,18/3/1933) .
    Ultimo di 5 figli,da bambino scarabocchiava col carbone su qualsiasi cosa,ma la sua passione era il gesso che riusciva a recuperare per strada seguendo i “scecchi d’issara” . Don Nino aveva stabilito che il figliodoveva diventare ingegnere. Ma un giorno si trova ad entrare nel ristorante un ingegnere di nome Torregrossa…….E’ stato lui a convincere Don Nino ad iscrivere Pippo all’Accademia BB.AA. .
    Pippo aveva 4 fratelli : il primo Nenè era andato in America,Fara si era fatta suora, Antonietta si era sposata,l’ultimo,Nicola,era entrato in un convento francescano a Palermo………Fu proprio la vocazione
    del fratello a risolevere i problemi per mandare Pippo all’Accademia BB.AA.
    Pippo se ne andò a vivere in convento,che era vicino all’Accademia, sotto la protezione del fratello, Fra’ Tommaso . Qui trovò anche l’amore: Pippo spesso se ne andava a dipingere in terrazza ed un giorno,affacciata ad una finestra di una casa vicina,vide una ragazza bionda .Quella ragazza, il cui nome era Maria Carramausa, il 5 Dicembre 1924,divenne sua moglie,nonostante i genitori di lei avessero in ogni modo ostacolato quell’unione, convinti che un pittore squattrinato e che andava in giro con un cravattone rosso non prometteva niente di buono per la figlia. Dalla loro unione nacquero 2 figlie, Elica ed Alba. Nel 1918 fondò con alcuni amici a Corleone un circolo culturale “Rinnovamento” che suscitò l’attenzione del futurista F.T Marinetti………Nella sua abitazione realizzò una casa d’arte dove anche la moglie collaborò a realizzare tovaglie,tovagliolette,scialli su disegni del marito. Espose per la prima volta nel Maggio 1916 al Kursaal Biondo di Palermo, in occasione della mostra “Pro Patria Ars”……
    Nel 1936 venne nominato Direttore dell’Accademia BB.AA. di Palermo. Nel 1939 si trasferisce a Roma, poi torna a Palermo nella casa della moglie, in Via Serradifalco 78, riprende il suo posto di Direttore dell’Accademia BB.AA. di Palermo ………………Spesso soffriva di crisi cardiache e ogni volta la moglie interveniva con un’iniezione fino al 5 Marzo 1966 quando nessun intervento fu possibile, nessuna proroga gli fu concessa, come lui stesso diceva . Pippo aveva 67 anni ” .
    E’ stato Maestro del pittore bagherese Renato Guttuso .

  • ABATE ALESSANDRO

    ABATE ALESSANDRO

    Alessandro Abate è nato nel 1867 a  Catania, dove è morto nel 1953 all’età di 86 anni
    Allievo di Antonio Gandolfo e del Marinelli, frequentò L’Accademia S.Luca. A Roma esordisce nel 1894 alla Mostra Nazionale, cui segue Parigi al Grand Prix del 1829, a Santiago nella Galleria d’Arte Moderna un suo quadro dal titolo Eppur si muove .Nel 1902 espone alla Promotrice di Torino. Dal sito www.exibart.com si riporta in parte :
    ” La formazione, dalla fine degli anni ´80 all’inizio del secolo XIX,  avviene prima a Catania con Antonio Gandolfo(Catania 1841 – 1910),poi a  Napoli con Vincenzo Marinelli (S. Martino/PZ 1820 – Napoli 1892), infine a Roma, pensionato dal Comune di Catania, con Francesco Jacovacci  (Roma 1838 – 1908) e presso le scuole del Museo Artistico Industriale.
    Gli esordi degli anni Novanta, caratterizzati dalla tematica sociale di tono  patetico attinta dal suo primo maestro catanese e scanditi dalla  partecipazione alle esposizioni nazionali e locali, quali la Belliniana di  Catania del 1890, la Nazionale di Roma del 1895, la Quadriennale d´arte  decorativa moderna di Torino del 1902 e l´Esposizione Agricola Siciliana di  Catania nel 1907, che ne consacrò la fama di decoratore dell´ “Arte nuova”  riservandogli una parete della < Mostra di Belle Arti e Fotografia>.
    Il rientro definitivo a Catania, nei primi anni del Novecento, dove lavora  stabilmente, tranne brevi assenze per lavori decorativi in provincia di  Siracusa e di Messina e, dalla fine degli anni ´20 al 1940 per committenze  pubbliche dei rispettivi governi a Tripoli, a Tunisi e ad Alessandria  d´Egitto. A fianco di una costante e intensa produzione di opere da  cavalletto dalla vena intimistica e idilliaca, con una netta predilezione  per il ritratto e le scene d´ambiente domestico, Abate realizza fin dentro  il terzo decennio del `900, decorazioni di ispirazione liberty per dimore private, richiestissimo dall’aristocrazia e dall´alta borghesia catanese, e  lavori per la committenza ecclesiastica.
    Stimato pittore e apprezzato decoratore, Alessandro Abate,figlio di Carmelo  e Anna Reitano, benestante cinquantenne, realizzò a Catania, tra il 1915 e  il 1918, negli anni della grande guerra, al n. 12 della Via Vallone al  Borgo, attuale via Carmelo Abate, il palazzotto in cui alloggiare al piano  terra e lavorare al primo, il cui progetto aveva significativamente  commissionato all´affermato ingegnere Tommaso Malerba. Quel palazzotto, ad  oltre cinquant´anni dalla morte del pittore, con la raccolta delle opere che  custodisce, auspichiamo che possa essere guadagnato alla pubblica fruizione  quale “casa museo” per il suo portato testimoniale, sapientemente conservato dalla  nipote Maria Salmeri

  • LETO ANTONINO

    LETO ANTONINO

    La prima formazione di Antonino Leto si compie alla scuola di Luigi Barba e di Luigi Lojacono. Ma l’incontro con quest’ultimo suscita una spontanea adesione alla pittura di paesaggio e ai dettami del vedutismo naturalistico, approfonditi dal soggiorno napoletano. Leto infatti, ancora una volta si mostrerà recettivo alle innovazioni, preferendo accompagnarsi ai pittori del gruppo di Resina, una libera unione fondata da Giuseppe De Nittis, Marco De Gregorio, Federico Rossano e il toscano Adriano Cecioni che vi portò il contributo teorico e le sperimentazioni dei macchiaioli. La scuola di Resina, aveva una poetica innovativa indirizzata verso una rappresentazione del paesaggio più libera, secondo una fedeltà al “vero” reso emozionante. E’ a questo periodo che risalgono gli studi sul colore e sulla luce delle opere vesuviane. Nel 1874 vinse il concorso per il Pensionato Artistico di Roma. Qui strinse amicizia con Francesco Paolo Michetti. Per ragioni di salute chiese il trasferimento al Pensionato Artistico di Firenze dove entrò in contatto con i macchiaioli, approfondendone la lezione già appresa a Resina. Al termine del pensionato si recò a Parigi, dove lavorò per il mercante Goupil e diventò amico di De Nittis. Ma anche il soggiono parigino è interrotto per la salute malferma dell’artista, che nel 1880 rientra in Italia, soggiornando prima a Portici e poi a Monreale e a Palermo. I bozzetti preparatori presso la Galleria d’arte Moderna di Palermo e i relativi affreschi recentemente scoperti nella Villa Florio dei Colli lo ritraggono insieme ai suoi protettori nel clima festoso della belle époque.Tornò in Italia nel 1880, lavorò anche come freschista e realizzò dipinti su commissione. Nel 1882 si stabilì a Capri, e lavorò con fede e passione, noncurante della malferma salute e continuò a partecipare con successo alle principali mostre nazionali ed estere. I luoghi del mare, i faraglioni, le grotte, le spiagge sui piccoli porti, i paesaggi incantati delle isole, sono i protagonisti dell’ultimo periodo di Leto che si svolge a Capri, dove egli si trasferisce definitivamente nel 1899.Dieci anni prima, nel 1889, era presente all’Esposizione Universale di Parigi. I suoi quadri di marine, pescatori e scogli furono per la maggior parte acquistati da ricchi collezionisti stranieri. Sono dipinti che” aprono l’animo alla gioia della vita”. A Roma, Torino, Nizza, Londra, Monaco e Venezia egli ottenne i più lusinghieri successi. Nel 1914 all’Internazionale di Venezia venne tenuta una mostra retrospettiva nella quale furono comprese ventotto sue opere. Notevoli: Studio; Capri; Piazza della Signoria di Firenze; Studio di Signora; Scogli e mare; Piccola marina; Testa di donna, appartenente al pittore Federico Michele; Cava dei Tirreni. Si rammentano: Un ventaglio( tempera), Zucche (acquarello), Pescatore napoletano (pastello).

  • LOJACONO LUIGI

    LOJACONO LUIGI

    Palermo 1810-1880

    Non essendo ancora stati portati avanti studi approfonditi sulla figura di Luigi Lojacono, risultano scarse le notizie relative alla vita ed alla produzione artistica. Padre del più noto Francesco, fu allievo di Giuseppe Patania e lavorò nello studio di Salvatore Lo Forte. Superò l’iniziale formazione neoclassica a contatto con le nuove istanze romantiche, grazie anche alla partecipazione attiva alle imprese risorgimentali e garibaldine.

    Fu autore di ritratti , molti dei quali oggi alla Biblioteca Comunale di Palermo, e di soggetti religiosi, ma soprattutto si distinse per le numerose scene di battaglia ispirate alla pittura seicentesca di Salvator Rosa e Micco Spadaro.

    La sua attenzione alla resa realistica si accentuò in seguito al contatto diretto avuto a Napoli nel 1850 con Filippo Palizzi. Negli anni sessanta, forse sotto l’urgenza dell’esperienza diretta dell’impresa dei mille in Sicilia, le sue battaglie si fanno più attente alla realtà contemporanea, come testimoniano Bersaglieri e briganti (1864), della Civica Galleria d’Arte Moderna di Palermo e Garibaldi a Gibilrossa (1862), in collezione privata, nel quale si fa più evidente lìinfluenza dei Palizzi, ma anche quella dei macchiaioli con i quali può avere avuto contatti in quegli anni di scambi frequenti a livello nazionale, favoriti anche dai frequenti spostamenti degli artisti attivamente impegnati nelle battaglie per l’indipendenza.

    Fu maestro di molti pittori tra i quali, oltre il figlio Francesco, anche Antonio Leto. Nel 1863 vinse la medaglia d’argento all’Esposizione di Belle Arti di Palermo con la Battaglia di Milazzo.

    Sue opere pure presso Chiesa di S. Francesco di Paola(TP).
    Scrive M.C. i Natale : ” Le sue opere sono quasi sempre di piccole
    dimensioni,talvolta di formato ovale, caratterizzate da scene concitate,con soldati che agitano le spade…..” .

    Degna di menzione la Retrospettiva su Luigi e Francesco Lojacono alla GAM (PA,28 Gennaio,1996) .

    Degna di menzione la Retrospettiva alla GAM (PA,28 Gennaio 1996).

  • Paolo Orsi, “Schliemann” di Siracusa

    Paolo Orsi, “Schliemann” di Siracusa

    Se è vero che il grande studioso ed archeologo Paolo Orsi (Rovereto 1859 – 1935), venne a Siracusa in seguito ad un concorso pubblico che cambiò la sua residenza fiorentina con quella aretusea, è anche vero che vi spese ben cinquanta lunghi anni della sua vita e che, dalla città di Archimede, non lo strapparono mai le offerte lusinghiere della direzione del Museo di Napoli o i continui inviti a ricoprire le prestigiose cariche universitàrie di Torino, Pavia, Milano e Catania. Siracusa fu, per l’Orsi, la patria d’elezione, alla quale, come egli stesso ebbe a dichiarare, “andava debitore della sua gloria”. Archeologo e studioso di notissima fama, Paolo Orsi antepose sempre alla tranquillità dell’insegnamento il travaglio di ricerche lunghe e pazienti, la fatica di indagini silenziose e laboriose. Ma proprio con quel lavoro tenace, caparbio e scrupoloso, egli gettò le basi delle moderne conquiste archeologiche che gli fecero meritare, a ragione, il titolo di “Schliemann della Sicilia”. Orsi giunse a Siracusa, appena trentenne, nel 1888, con una salda preparazione scientifica, conseguita prima a Rovereto, sua città natale, e poi a Padova, Vienna e alla Regia Scuola Italiana di Archeologia. La sua preparazione nasceva dalla guida di grandi e valenti maestri
    come Fortunato Zeni, dal quale apprese i primi rudimenti di numismatica romana e medievale, il Benndorf, l’Hirschfeld e il Pigorini, di cui per quarant’anni fu amico e discepolo prediletto. Accolto, non senza diffidenza, nella Reale Sovrintendenza di Siracusa, dal Cavallari, direttore generale alle antichità di Sicilia, attratto irresistibilmente dalle origini greche della città e dal fascino dei suoi innumerevoli reperti archeologici, Orsi iniziò subito una serie intensis-sima di ricerche sul terreno e sul materiale che gli consentì di tracciare il primo quadro storico, sistematico delle originarie culture dei Siculi, della Sicilia preellenica, dei famosi Sikeloi.
    Le nostre conoscenze storiche su questo antico popolo abitatore della Sicilia e dei siti siracusani si arrestavano, infatti, alla fine del IX e agli inizi dell’VIII secolo avanti Cristo quando, grazie all’intensificarsi dei commerci, arrivarono sulle coste sicule i primi nuclei di coloni greci. I
    tentativi del Cavallari, del barone Von Andrian, dello Schubring, erano assai lontani dalla soluzione del problema, che venne invece affrontato in pieno dall’Orsi, con tenacia e costanza. I quattro periodi in cui egli fissa le fasi salienti di tale civiltà ci permettono di seguire questo popolo paleosiculo nella sua unità culturale ed etnografica, la quale si manifesta nei sepolcri e nei riti funebri. Siculi e sicani sarebbero in fondo delle genti appartenenti alla stessa famiglia, pervenute probabilmente nell’isola in epoche diverse, ma formanti una completa unità etnica: un ramo, insomma, della stirpe mediterranea, irradiatasi dalle coste dell’Africa su tutto il mezzogiorno dell’europa occidentale e soprattutto in Sicilia. Ma l’attività dell’Orsi non rimase circoscritta al solo problema delle origini. Le sue ricerche sulla civiltà greca in Sicilia, e particolarmente a Siracusa, sono state grandissime. I suoi studi sull’Athenaion di Siracusa costituiscono oggi una vera conquista scientifica. Il suo interesse, altresì, fu indirizzato principalmente verso la scoperta e la conoscenza di
    luoghi sacri e pubblici, come le necropoli greche e l’Olimpieion di Siracusa.
    Effettuò personalmente esplorazioni arditissime e tenaci delle necropoli di Pantalica, Cassibile, Megara, Castelluccio, Thapson, Licodia, Valsavoia, salendo e scendendo dagli Erei e dagli Iblei. Al suo acuto occhio di osservatore preparato, le tombe si scrollavano la polvere del tempo e cominciavano a parlare, principalmente con la massa del vario materiale retituito alla luce, dopo un silenzio di millenni: disparati avanzi di piccole industrie domestiche, cocci di ceramiche con incisioni geometriche, campioni vascolari con elementari decorazioni, suppellettili varie come coltelli litici, asce basaltiche, fibule, armi, corredi mortuari. Alla ricerca di tutto ciò, lo si vedeva spesso su balze inaccessibili, avvolto nel suo pesante mantello nero, immobile, con lo sguardo perduto sulle rocciose distese, assistito sempre dal suo fidatissimo collaboratore, professor Rosario Carta. Profuse molte energie sugli studi praticati nella grande catacomba siracusana di San Giovanni, alla quale consacrò ben cinque campagne archeologiche, ricchissime di risultati.
    Ma le sue attenzioni si estesero anche ai cimiteri che si trovavano nella regione occidentale di Akradina, Santa Maria, Santa Lucia (ex Vigna Cassia), di cui rivelò topografie, forme tectoniche, elementi decorativi. Da essi, trasse fuori grandi risultati che gli permisero di ampliare enormemente lo studio del simbolismo delle pitture e la minuta descrizione dei suppellettili dei sepolcri, che lo portarono a capire le più importanti consuetudini funerarie di questi nostri antichi e sorprendenti antenati. Studiò un gruppo numeroso di minori ipogei disseminati lungo la falda orientale della terrazza di Akradina, di cui illustrò il problema del cristianesimo primitivo e del lungo travaglio della chiesa siracusana nei primi secoli della sua vita. Si trattava in genere di cimiteri ipogeici, sperduti nella solitudine di vaste campagne, ricchi di elementi epigrafici e decorativi.
    Queste incessanti ricognizioni topografiche, non solo lo mettevano a diretto contatto con le vetuste reliquie della civiltà sicula e greca, ma gli permisero di annunciare, con vero stupore degli studiosi di archeologia, che la sola provincia di Siracusa comprende un centinaio tra grandi e piccoli cimiteri di età greca, romana e cristiana. Cimiteri disseminati nell’immensa campagna che si stende dalla marina costiera di Noto a Canicattini Bagni, a Cava d’Ispica, Spaccaforno, Licodia Eubea, Floridia, Cassibile, Modica, Buscemi, Palazzolo Acreide. Nella carta topografica dei cimiteri cristiani, essi parlano, per merito dell’Orsi, con precisi rilievi monumentali, illuminando ed integrando leggende agiografiche che sembravano, fino ad allora, destituite di ogni attendibilità storica. Innamorato di Siracusa e della storia ellenica, questo solitario archeologo trentino, dalla figura alta, asciutta, volitiva, sempre in tenuta da campagna, dal collo chiuso, dagli stivali affibbiati, aveva sempre le tasche piene di taccuini e di lapis. Su questi celebri taccuini (oggi custoditi presso la Sovrintendenza archeologica regionale di Siracusa), dalla tipica copertina nera, che contenevano circa duecento fogli ciascuno, appuntava meticolosamente i dati di scavo, ma anche le sue impressioni personali, i suoi stati d’animo, le sue ansie, le sue paure, le sue gioie, le sue emozioni di fronte al grande mistero della storia antica e delle tracce di quegli uomini che di essa erano stati protagonisti. Ma oltre a questi libretti vi è la mirabile opera degli inventari, tracciati tutti di suo pugno, dove si trova, un materiale prezioso, di cui ci auguriamo tutti, nell’interesse della scienza, che ne vanga prima o poi curata la pubblicazione. Sono essi la testimonianza del nostro passato, al quale, pur nella nostra civiltà trasformata e rivoltata da mille eventi e mutazioni, non possiamo che riconoscerci, non possiamo che rintracciare le nostre prime radici. E di questo passato egli faceva un paziente lavoro di classificazione, di minuzioso controllo durato diversi anni. Si può ben dire a riguardo che in questo campo il suo contributo è stato grandissimo tanto da meritargli un posto eminente nella storia della moderna archeologia e da fargli ottenere nel 1896 la nomina a membro dell’Accademia dei Lincei e nel 1924 quella di senatore. Ma Orsi non si gloriò mai di questi titoli, l’amore per la storia e l’archeologia gli riempì talmente la vita da indurlo perfino a rinunciare alle gioie di una propria famiglia. Conservò sempre consuetudini semplici, francescanamente severe e riservate, che si stemperavano solo nel ricordo degli anni, sudatissimi ma felici, vissuti nella nostra città, nella “sua” Siracusa.

    Al suo nome è intitolato il Museo Archeologico Regionale della Sicilia. Inaugurato nel 1886 in piazza del Duomo, esso fu diretto dal 1895 al 1934 proprio dal nostro Paolo Orsi. E fu la crescita della raccolta di reperti e documenti a condurre alla progettazione di un nuovo spazio, quello attuale, nel giardino di villa Landolina. E’ stato l’architetto Minissi a disegnare la nuova struttura, inaugurata nel gennaio 1988 e costituita da due piani espositivi. In essa vive il segno tangibile del lavoro svolto per tanti anni dall’Orsi per la nostra città.